Assolute perché PERFETTE
nella loro BELLEZZA e SEMPLICITA’, sono quelle scene che ogni tanto ti vengono
incontro, ma che dico, ti vengono ADDOSSO, creandoti un bukkake di emozioni che
ti affogano quasi; quelle scene che non
hai mai vissuto ma che quando le vedi o leggi o osservi ti rendi conto
che sì, maledizione, quella scena è verosimile, anzi è REALE, perché capitata a
te, anzi… anzi…. Mi ricordo che mi è capitata…. Quando mi è capitata? No, merda, non mi è MAI capitata,
e allora perché ho questo maledetto dejà vu? Perché non è solo un dejà vu ma è
anche un dejà degli altri sensi, percepisci gli odori, i sapori, i suoni,
maledizione! Hai presente quella frase di Nietzsche che dice se tu scruti nell’abisso
poi l’abisso scruta in te? Ecco, è come se quel pittore, regista, scrittore
stesse scrutando dentro la tua anima, stesse sgranando a mo’ di rosario il tuo
DNA nucleotide per nucleotide e avesse trovato il cuore pulsante di quell’immagine
perfetta che forse in un’altra dimensione parallela tu hai vissuto, e quel
cuore pulsante lo prendesse tra indice e pollice lo spremesse come un acino per
fargli uscire il sugo, e tu ti senti precipitare in un abisso meraviglioso in
preda alla vertigine e ti rendi conto che hai il dono dell’ubiquità fuori
dall’opera mentre la osservi e dentro mentre la vivi. Una specie di Sindrome di
Stendhal anche se dicono che non esiste, ma esiste eccome.
Ecco, la mia prima
scena assoluta risale a quando vidi “Elizabethtown” . Lui è il fallito
primordiale, stratosferico, universale. Ha cannato in una linea di scarpe
sportive distribuite in tutto il mondo. E’ venerdì e il suo capo gli ha detto
di godersi il WE perché lunedì lo sputtana in maniera planetaria. Perderà la
faccia, il lavoro, la dignità. TUTTO. Sta per suicidarsi quando squilla il
cellulare: ha perso anche il padre e lui
deve andare ad Elizabethtown per recuperare il corpo. Nell’aereo che prende,
unico passeggero, una hostess attacca bottone e gli da il numero di cellulare.
Ora viene la scena assoluta. Lui la notte in attesa di andare a recuperare il
padre, in ansia per il pensiero del lunedì catastrofico, un suicidio in
sospeso, chiama la hostess. Dopo una notte intera di telefonata decidono di
incontrarsi, sempre parlando al telefono, i cellulari non vengono mai spenti, e
loro prendono le rispettive auto e si incontrano all’alba in questa stradina provinciale
di campagna, si sorridono con un sorriso spettinato che ha fatto la veglia,
dolce di stanchezza, caldo di un sentimento che è sbocciato nella brina
notturna e si siedono su un muretto ad osservare il panorama che albeggia. E in
sottofondo la musica di Ulrich Schnauss. Ecco. Tutto qui. Anzi, tutto senza qui. TUTTO
e basta. Perché mi è successo, di
passare ore al telefono con uno che praticamente non conoscevo e di averlo poi
incontrato per parlare di temi esistenziali con un’intimità che non avevo mai
condiviso con nessuno. Ed è successo anche a voi. Magari non in questa
dimensione. Io lo so.
http://www.youtube.com/watch?v=ZRwL8m5N38k
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