giovedì 6 marzo 2014

IL PRIMO POST -

Iniziare un nuovo blog è come scrivere la prima pagina di un quaderno. Paura di scrivere qualcosa di sbagliato, di essere disordinati e voglia di strappare la pagina subito dopo aver fatto un errore, per non sporcare il foglio con la scolorina.
Intanto cercavo di andare a ritroso con la mente, pensando a ciò che ha causato in me i problemi che mi trovo a dover affrontare oggi. Ma è una serie di sfortunati eventi concatenati. Son riuscita, con fatica, a risalire al problema iniziale e non riguarda me direttamente, ma un uomo. Mi aveva promesso amore e fedeltà, poi si è rivelato un grande ciarlatano. La sua assenza è una presenza costante nella mia vita, da Maggio 2013 ormai. Immaginando il suo viso e il suo gesticolare mi sento come oppressa, come se avessi un peso sul petto, un macigno, per essere chiara. Non ricordo più la sua voce e questo mi lascia sbigottita, attonita, sofferente.
Tutti dicono che il tempo cura tutte le ferite, ma non è vero. Chi lo dice è un gran coglione. Lui è la mia più grande ferita. L'arto che ho perso. E nonostante sia rimasta invalida, sento ancora la presenza di quell'arto che non c'è più. Un fantasma. Un arto fantasma. Dover fare ogni giorno i conti con lo specchio non è facile, affatto. Dover affrontare la realtà, quella realtà così amara che mi ha resa disabile, è doloroso.
Ora cosa mi è rimasto? Le sue parole, le sue vecchie e-mail ed i ricordi intrappolati nelle canzoni, nelle fotografie e nei video. Ogni tanto, lo confesso, entro su Whatsapp e guardo se è connesso. Leggo i suoi stati e controllo se aggiorna la foto profilo, sperando ne metta una recente, per vedere come è diventato. Allora sorge spontaneo un quesito.. E' tutto qui quello che mi rimane di una persona che amo, quando mi abbandona? 
Mi rimane un passato di frasi che ho scritto o detto ad altre persone, quando in realtà le avrei volute dire a lui. 
Mi rimane un atteggiamento di sfiducia da spiegare a chi ha bisogno di capirmi, a chi vuole davvero capirmi. 
Mi rimane un "Ti voglio bene" in gola, che forma un nodo, come i boli di pelo dei miei gatti. 
Mi rimane una sensazione di disgusto e la bassa autostima che ho, perché forse avrei potuto fare qualcosa per cambiare la situazione. 
Mi rimane una sfilza di se, ma, forse sullo stomaco, come quando mangi troppo durante le feste e non riesci a digerire. 
Mi rimane la nostra canzone che ascolto controvoglia, solo se obbligata dalle circostanze.

Ma ciò che mi rimane dentro più di tutto è il suo sangue. Che scorre dentro me rendendomi viva. Che paradosso. L'uomo che mi ha colpito e affondato, l'uomo che mi ha ucciso, prima mi ha dato la vita. Poi me ne ha tolto una parte, invalidandomi. E non contento di ciò, resta dentro me. Per sempre. 
Non ricordo più l'ultima volta che ti ho chiamato come fanno tutti i figli. Non ricordo i tuoi abbracci. Ah si, certo. Non mi hai mai abbracciato, se non costretto dalle mie insistenti richieste di contatto fisico. 
L'unica conclusione alla quale sono arrivata è che so che non voglio essere come te. Anche se tu sei dentro me al 50%, io non sono te. Io sono io. E non voglio mai diventare come te, per nessuna ragione al mondo, papà.
(
http://meltingweakheart.blogspot.it/)

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